VILLA MALAPARTE . CAPRI . ALBERTO LIBERA CURZIO MALAPARTE .
La casa di Malaparte, come la pensò Libera, è una casa di riti e di rituali, una casa che immediatamente ci riporta, con brivido, ai misteri e ai sacrifici egei: un gioco antico in una luce italiana. Ha a che fare con gli dei primitivi, e con le loro implacabili richieste.
Con l’inghiottire pietre e foglie e restituirle come mare e cielo. Con lo scegliere il bene o il male, e con l’inevitabile pathos dell’errore. Con il vuoto delle caverne e l’inaccessibilità del sole. Con il rifiuto dell’astrazione e l’incanto lirico. Ed anche con i dilemmi e i problemi del tempo nostro. La pianta è ambigua: può essere l’immagine di un programma, o non esserlo.
Fa pensare a qualcosa di precristiano – ecco. Una pianta che ricorda un remo – un remo funerario egizio, appoggiato alla parete in una tomba di Faraone, con il manico avvolto in giri di corda e la pala incisa di simboli – la vita del Capo, i trionfi del Capo … È un’iscrizione, questa pianta. E non è facile trovarvi segnato l’ingresso, nascosto come nelle tombe. Ma una volta penetrati all’interno sembra, secondo i due disegni prospettici, di essere in un mondo sommerso – quattro finestre in due muri, aperte sul fondo di un oceano. Siamo in un sottomarino in esplorazione, fra scure stalattiti. Ci riscalda un luminoso camino, da un lato; dantesche figure di limbo dall’altro lato: al centro della parete di fondo, una porta … Una porta che si apre silenziosa su un corridoio che termina con due alte porte… il bene? il male? Sta a noi scegliere, come nel cortile dell’Alhambra a Granada…
È il dramma dell’uomo e della natura, della nascita e della morte, della espansione e della compressione, del sacrificio e dell’accettazione..
info: john hejduk su Domus 1980.
foto: francoishalard